Bianco ferito

Cammino con passo lento  ma fermo. Sprofondano i miei piedi mentre sprofondo io. Ogni gesto è umido di cristalli, ogni mossa è velata di candido. Posso scavare un buco e nascondermi sotto, come fanno negli igloo. Mi troveranno soltanto quando la pioggia inclemente avrà cancellato tutto questo universo bianco ferito di nero. Intorno, solo alberi scheletrici, come vene che tagliano i polsi del mondo. Solo turbine e gelo, quiete e fermento, silenzio e frastuono.
Qualcuno ha cancellato i colori. Tutto è, in fondo, come lo sento, come lo avvertono i miei sensi stanchi, il mio cuore gonfio, il mio sguardo distorto. Posso chiudere gli occhi e trattenere quest’immagine per sempre? Non che risolva qualcosa ma, almeno, ha il sapore di un minuscolo conforto.

Altitudini

Scatti

Non ho mai voluto volare

Vorrei mettermi uno zaino sulla schiena, sentire la leggera pressione del peso sulle spalle, la pelle che si irrita leggermente per lo sfregamento. Vorrei sentire i miei piedi imbrigliati negli scarponi, le calze spesse che circondano le caviglie in un abbraccio, il cappellino calato sulla fronte e le ginocchia che scrocchiano impercettibilmente ai primi movimenti. Vorrei sentire il rumore di ogni mio passo, di ogni mio battito, di ogni mio pensiero concentrato sull’andare, non più sul restare, sull’essere, sul perchè. Vorrei che il mio sguardo si svincolasse finalmente da ragnatele di palazzi e gabbie di condomini che mi limitano e soffocano la natura della mia natura. Vorrei perdere il senso della realtà nell’attenzione e nella prudenza di ogni millimetro di sentiero (e non strada, sentiero) percorso, fino a confondermi, a non sapere più se sia poi così importante arrivare, ma certa di quanto lo sia infinitamente poco tornare indietro. Non ho mai voluto volare, non ho mai desiderato di essere un’aquila o un gabbiano, non mi piacciono gli spazi vuoti sotto di me, non mi piace l’abisso, il nulla. Mi piace sentire che procedo con le mie stesse forze, mettermi alla prova anche nell’allontanarmi, mi piace combattere contro la gravità e il mio corpo stesso, procedere, anche a fatica, ma procedere, spingermi, spingere avanti la mia vita. Vorrei essere libera di essere quello che vorrei essere, arrivare alla cima, sedermi su una pietra, poter dire, ancora una volta: “ce l’ho fatta”.

Le scarpe rosse

Scarperosse 007Scarperosse 013Progetto d’arte pubblica
di Elina Chauvet
a cura di Francesca Guerisoli

Elina ha realizzato il progetto, nel 2009,
proprio a Ciudad Juárez,
dove ha raccolto 33 paia di scarpe.
Ciudad Juárez, nello stato del Chihuahua, Messico,
è conosciuta come la città che divora le sue figlie.
Qui si è adoperato per la prima volta il termine femminicidio.
Qui, nella più totale impunità,
sono sparite dal 1993 centinaia e centinaia di donne.
Oggi le scarpe rosse
sono a Torino come marcia di solidarietà
verso queste donne invisibili.
Scarpe vuote,
che simboleggiano il vuoto lasciato da ogni singola donna scomparsa
sia nei propri cari sia nella società.
Sono qui contro la violenza sulle donne
a qualunque latitudine.
Contro l’assuefazione,
contro l’impunità,
per la giustizia.

Just white

Il mondo si colora di bianco. O si decolora di colori. Che poi non è nemmeno corretto. Mi rimane qualche concetto di pittura, nonostante la prolungata inattività: a ben pensarci, infatti, ricordo che il bianco, in realtà, è il risultato della somma di tutti i colori primari. Quindi, quando nevica, in realtà il mondo si riempie di colori. E forse questo è un altro dei tanti trucchi che usa la natura per farci capire che niente è come sembra.

Foglia

Foglia appassita

Ogni fiore vuol diventare frutto,
ogni mattino sera,
di eterno sulla terra non vi è
che il mutamento, che il transitorio.

Anche l’estate più bella vuole
sentire l’autunno e la sfioritura.
Foglia, fermati paziente,
quando il vento ti vuole rapire.

Fai la tua parte e non difenderti,
lascia che avvenga in silenzio.
Lascia che il vento ti spezza
ti sospinga verso casa.

(Hesse)

 

Run

A volte vorrei correre anche io. Ad occhi chiusi, su foglie cadute. E sentire il vento sulla faccia. Ma non corro, io. Non corro non perchè non voglia farlo. Perchè non so se poi riuscirei a fermarmi, a tornare indietro.

Naturalmente

Non è la prima volta che mi ritrovo a pensarlo. La natura è più forte di noi. O almeno lo è più di me. Ci sono piantine che spuntano dal terreno quando meno te lo aspetti, quando la notte ammanta già di gelo il freddo balcone su cui sono costrette a vivere.

Ci sono fiori che spaccano la roccia e drizzano la testa di fronte ad un raggio di sole. E pigne che rimangono immutate per anni, nonostante la separazione dall’albero, dalla terra, dal loro cielo di montagna.

La natura si adegua, si modifica, plasma se stessa in relazione ai mutamenti, anche quelli più crudeli, che l’uomo impone. Dovremmo imparare da lei a fare lo stesso. Dovremmo saper cambiare fisionomia, fisiologia e filosofia in rapporto al mondo che ci circonda. Saper essere più forti degli stravolgimenti, delle novità, dei nuovi assetti.

Dovremmo saperlo fare, si. Sarebbe bello.

Qualcosa fiorisce anche in autunno

Non amo l’autunno per il clima, ma lo amo per i colori. Non lo amo per quello che mi fa provare, per quelle giornate in cui mi costringe, nonostante la mia opposizione accanita, a ricordare, a guardarmi dentro. D’estate non mi esamino: mi esimo dall’esaminarmi. Non lo faccio in primavera perchè sarebbe uno spreco di tempo. In inverno mi lascio andare a quella che sono: una che è nata in gennaio. Ma io e l’autunno ci facciamo la guerra. Una strenua, eterna guerra che dura da quasi vent’anni. C’è da dire che non vinco mai, ma so che prima o poi passa. L’autunno e tutto il resto. Cerco di combattere, di combattermi, apprezzando il colore delle foglie, il profumo di camini accesi, le castagne, le zucche e questa piantina, che sfida ogni anno il gelo sul balcone ed ogni autunno mi regala il suo colore incantevole. E mi guarda, come dire:”Lo vedi? Si può”. Ed io, quasi quasi, oggi ho voglia di crederle.